È tempo di tirare le prime somme: Solvency II finisce sotto la lente di ingrandimento a quattro anni dalla sua entrata in vigore. Voluta dalla Commissione europea, la revisione della Direttiva, che raccoglie le regole per il settore assicurativo finalizzate alla corretta calibrazione del capitale per una migliore gestione del rischio fa parte di un percorso ampio ed articolato, destinato a concludersi nel 2021. In questi mesi la palla è nelle mani di Eiopa, l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali, organismo europeo che dal 2011 ha il compito di sorvegliare il mercato assicurativo e di coordinare le autorità nazionali competenti.
Lo scorso ottobre Eiopa ha dato il via alla consultazione pubblica sul parere tecnico richiesto dalla Commissione europea ai fini della revisione di Solvency II: i risultati, che riguarderanno un ampio spettro di questioni, sono stati depositati lo scorso 30 giugno. La procedura di consultazione si pone in una prospettiva di continuità: la revisione non vuole determinare cambiamenti sostanziali, ma piuttosto la messa a punto della disciplina normata da Solvency II, immaginando al più modifiche dettate dalle esperienze acquisite, senza stravolgimenti della filosofia di base della Direttiva.
Ma a qualche anno dall’attuazione delle prescrizioni previste da Solvency II, cosa si può iniziare a dire?
Al di là dei pareri ufficiali emersi da Eiopa e dall’Ue, è già possibile formulare un primo bilancio?
In linea di massima sì. E tutto sommato, pare che il sentiment generale si ponga a favore delle novità previste dalla Direttiva, con qualche necessità di ulteriore adeguamento.
Ma andiamo con ordine.
Solvency II: una nuova disciplina a garanzia dei consumatori
Solvency II è la Direttiva europea (2009/138/CE) che di fatto estende la normativa di Basilea II al settore assicurativo e prevede un approccio orientato al rischio (risk based) e “prospettico” (forward–looking), cioè incentrato anche sulla valutazione della capacità dell’impresa di gestire in modo puntuale i rischi, oltre che sulla verifica ex post del rispetto dei requisiti patrimoniali.
Senza entrare nei dettagli tecnici, per capire la logica di Solvency II è sufficiente sapere che un contratto di assicurazione si fonda su un principio: la restituzione in futuro, sotto forma di capitale o servizio, delle somme ricevute dal cliente – a titolo di premio assicurativo – con la sottoscrizione della polizza. Nell’attesa di soddisfare la promessa, le Compagnie di assicurazione di regola investono le risorse ricevute, in modo da accrescerne e non perderne il valore. Tali operazioni economiche, tuttavia, sono soggette a un certo livello di rischio. Non è detto infatti che tutti gli investimenti vadano a buon fine: esiste il rischio che nel corso degli anni l’assicuratore sia costretto a mettere mano al portafoglio per ripristinare i propri impegni a titolo di riservazione.
Per affrontare questa eventualità in modo previdente, l’Unione europea ha quindi imposto alle Compagnie di assicurazione di dotarsi di specifiche riserve per far fronte agli impegni nei confronti degli assicurati. Lo ha fatto appunto con Solvency II, Direttiva che introduce (tra le altre cose), il cosiddetto requisito patrimoniale di solvibilità (solvency capital requirement) a garanzia della disponibilità di fondi per l’impresa, non a copertura di specifici impegni, ma come ulteriore cuscinetto di sicurezza per soddisfare obbligazioni future anche in caso di scenari economici perturbati.
Una Direttiva che concretizza un salto epocale
Solvency II entra in vigore il 1° gennaio 2016 con l’intento di armonizzare al massimo la normativa europea e di collegare strettamente la definizione dei requisiti patrimoniali all’articolato e diversificato impianto dei rischi caratteristici di un’impresa assicurativa. Viene stabilito quindi un nuovo regime di adeguatezza patrimoniale e nuove regole di gestione e misurazione del rischio, con l’obiettivo di ottenere un capitale di vigilanza più aderente al profilo di rischio di ciascuna impresa. Per trent’anni prima di allora, il margine di solvibilità̀ è stato determinato seguendo, a macchia di leopardo, le regole di Solvency I: un meccanismo semplice, ma limitato. La determinazione del capitale di vigilanza, secondo la precedente modalità di calcolo, non prendendo in considerazione la misura del rischio, non consentiva una rappresentazione veritiera e coerente della reale necessità di Solvibilità, anche in modo pesantemente avverso nella rappresentazione dell’andamento di una compagnia assicurativa.
La stesura di Solvency II richiede dodici anni di lavoro e approda infine a una “nuova metrica” comune del rischio delle imprese assicurative, in sostituzione di 14 direttive e 28 regolamentazioni nazionali.
Ma qual è il grande salto che Solvency II concretizza?
Porre il rischio al centro dell’attività̀ d’impresa rappresenta un cambiamento epocale nella disciplina della vigilanza, ma non solo. Le imprese di assicurazione ora devono sottostare a una disciplina rigorosa: maggiori sono i rischi che intendono coprire con le loro polizze e che sono raffigurati nei loro piani strategici, maggiore è il capitale di cui devono disporre, in un costante equilibrio tra rischi e requisiti patrimoniali. Se, da un punto di vista teorico, l’impianto di Solvency II è dunque sacrosanto, la sua attuazione pratica non è del tutto immediata. Calcoli e adempimenti richiedono risorse importanti e il peso che ricade sulle spalle delle Compagnie assicuratrici con la nuova Direttiva non è indifferente.
Le conseguenze di Solvency II sull’industria assicurativa
Cosa possiamo dunque dire dell’impatto di Solvency II sull’industria assicurativa? Le conseguenze della Direttiva hanno avuto effetti in vari ambiti.
- Il grande valore aggiunto di Solvency II è stato quello di realizzare finalmente il mercato unico delle polizze assicurative, con una massima armonizzazione delle regole di solvibilità̀ e di vigilanza. Ma il processo di attuazione delle nuove norme non ha risparmiato le criticità.
Sul Volatility adjustment, la misura che permette alla Compagnia assicurativa di applicare una “correzione” additiva alla curva dei tassi risk-free utilizzata per calcolare le riserve tecniche, ha ad esempio scatenato vivaci dibattiti. L’Ania, l’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici, ha spiegato che la misura “non ha funzionato in maniera adeguata né tempestiva; la componente nazionale si è infatti attivata in modo irregolare e senza riflettere le effettive dinamiche di mercato”. Questo è accaduto, secondo l’associazione delle imprese assicurative, “sia perché le condizioni di attivazione della componente nazionale non hanno funzionato come avrebbero dovuto, sia perché i portafogli e gli indici utilizzati per il calcolo dell’aggiustamento non riflettono fedelmente il profilo di investimento della Compagnia e, quindi, i reali rischi cui è esposta”.
Una soluzione è stata trovata con una modifica tecnica al parametro, proposta nel corso della negoziazione relativa alla revisione delle competenze delle Autorità europee di vigilanza: novità che per l’Ania, “sebbene possa essere considerata valida e utile nel breve periodo, non affronta in modo strutturale i problemi di funzionamento alla base del meccanismo nato per contrastare la volatilità artificiale”. Anche di questo, dunque, si parlerà nel corso del processo di revisione di Solvency II citato sopra, che dovrebbe concludersi a fine 2020. - In attesa della revisione di Solvency II, l’EIOPA ha già espresso un suo generico parere: il quadro Solvency II funziona nel complesso bene. L’approccio della Direttiva è stato definito, nel testo con cui viene chiesto il parere tecnico di Eiopa, “di evoluzione” piuttosto che “di rivoluzione”. Le principali eccezioni – secondo quanto spiegato – derivano dall’esperienza di vigilanza, ad esempio in relazione alle attività transfrontaliere; o dal più ampio contesto economico, in particolare, in relazione al rischio di tasso di interesse.
- Nel quadro italiano, un primo bilancio di Solvency II è stato delineato da Ivass (l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni). In un convegno sul tema, l’Istituto ha toccato il tema delle criticità, puntando il dito contro “l’eccessiva complessità della misurazione del requisito di capitale, soprattutto per le piccole Compagnie” e auspicando l’attenuazione di “alcuni oneri normativi eccessivamente gravosi per gli investimenti in particolari classi di attivi”, come ad esempio per le obbligazioni prive di rating o per i titoli azionari non quotati. Criticità sono state rilevate da Ivass anche su un altro fronte: quello dell’operatività trans-frontaliera delle Compagnie europee, che viene trattata in modo diverso a seconda delle varie Autorità di vigilanza nazionali, “con livelli differenti di tutela degli assicurati”.
- Altro riscontro si è infine avuto nel giugno 2019, con la pubblicazione di alcune modifiche a Solvency II sull’Official Journal of the European Union (la gazzetta ufficiale UE): la Commissione Europea ha rivisto alcuni aspetti della norma rendendo, per esempio, l’investimento in azioni non quotate più interessante, abbassandone l’assorbimento patrimoniale dal 49% al 39%, allo scopo di permettere una maggior diversificazione degli investimenti. Nelle previsioni, la nuova Solvency renderà più appetibili le alternative non tradizionali di investimento come private debt o private equity, aprendo nuove strade di diversificazione del portafoglio.
Al momento, dunque, le aspettative sono proiettate in toto al processo di revisione che si fonderà anche sul parere espresso da Eiopa il 30 giugno. Come detto, si tratterà di una “messa a punto”: nella lettera di richiesta di parere tecnico inviata dal Commissione Ue ad Eiopa, i principi fondamentali di Solvency II “non dovrebbero essere posti in discussione, considerato che il regime di Solvency II ha avuto in gran parte una riuscita determinante e positiva anche nella riorganizzazione delle policy, dei processi e dei sistemi delle Compagnie assicurative”.
